Il Bambino e il Discoglosso: una storia d'amicizia
Breve racconto autobiografico di Roberto Campagnola
(articolo dell'11/9/2003)
In Sardegna, dove non esiste la vipera, e' possibile incontrare la
tartaruga Testudo marginata, che spesso supera i 40 cm di lunghezza,
e lucertole sarde come la Lacerta sarda del Gennargentu e la Lacerta
fitzingeri, molto diffuse, mentre tra gli ofidi si trovano la biscia
Natrix natrix cetti ed un serpente giallo a macchie nere che e' assente
nella Penisola: lo Zamenis (Coluber) hippocrepis (colubro ferro di cavallo).
Numerose poi sono le varie
lucertole dorate, tilique o "tiliguertas", gechi e scincidi di ogni
tipo e grandezza, comuni quasi come la Lacerta muralis, Lacerta viridis (bilineata)
etc. Tra gli anfibi vi e' il Discoglossus pictus e quello isolano, la
raganella Hyla sarda, il Tritone del Rusconi e lo Spelerpes Fuscus,
mentre assente e' la salamandra comune.
In Sardegna sono assenti anche
la rana (qualunque specie) ed il rospo comune, rimpiazzati
dal Discoglosso sardo e dal rospo smeraldino. Ho allevato
centinaia di rospi smeraldini e alcuni esemplari belli e davvero grossi
avevano una lunghezza muso-orifizio che si aggirava oltre i 18-20
centimetri. Gonfi come palloni compivano salti in lungo che superavano
di gran lunga il metro. Saltavano a destra e sinistra, zigzagavano con
una rapidita' tale che non era facile afferrarli nonostante le loro
dimensioni, mettendo in ridicolo lo stesso catturatore e mimetizzandosi
successivamente con l'ambiente circostante.
Per cio' che concerne il discoglossus sardus, beh, anche qui devo dire
la mia. Il mio primo incontro avvenne tra la fine degli anni `60 e
l'inizio degli anni `70...
Il Mio Amico Latitante
Da bambino ho allevato diversi discoglossi. Il primo con cui ho
avuto un ottimo rapporto di amicizia e fiducia, ha lasciato
un segno indelebile nella mia memoria.
L'animale e' vissuto con
me per alcuni anni prima che io lo liberassi. Me lo regalo' il
padre di un amico, un uomo che conosceva gli acquitrini e le paludi
dell'isola di Sardegna come le proprie tasche. Era anche un esperto
cacciatore di cinghiali e ogni volta volta che usciva col cane per
recarsi in campagna mi portava al suo rientro qualche piccolo dono.
Il discoglosso sardo, come ho detto prima, era piuttosto tranquillo.
Sembrava addomesticato e non era affatto spaventato dalla mia presenza.
Arrivava ad accettare persino le locuste o i pezzetti di carne che io gli
porgevo con le mie mani, dondolandoglieli davanti.
Ricordo anche
che all'epoca nessun negoziante (al contrario di oggi) vendeva cibo vivo.
Cosi', se uno voleva degli insetti, doveva riuscire a procurarseli da se'.
Anche se io vivevo vicino ad un monte, la raccolta degli insetti non era
un impresa facile e c'era sempre il rischio, infilando le dita in qualche
anfratto tra le rocce, non tanto di scovare un coleottero od un verme,
ma di essere morso dolorosamente dalla formica sarda (l'altamente
tossica Mutilla calva) o letalmente da un ragno (come la velenosa
"argia", cioe' la Latrodectus tridecim guttatus, mortale per vecchi
e bambini) o, non meno peggio, da uno spaventato colubro nero.
D'estate ero in grado di prendere le cavallette solo verso le sette
di sera, ora in cui iniziava ad imbrunire. Le cavallette difatti si
ancoravano sui carciofi selvatici e sulle piante di cicuta e rimanevano
immobili, in attesa della notte. Io attendevo quel momento per poter
agire. Avvistata la mia preda, che riposava verticale su uno stelo, con
un agile e rapido gesto della mano l'afferravo, stando sempre attento
a non pungermi con le sue zampe seghettate. Ne catturavo poche, solo
il tanto giusto per garantire al mio discoglosso sardo una sicura ed
appetitosa cena.
Il discoglosso sardo prediligeva le locuste, le falene ed
i piccoli coleotteri, rifiutando invece le lumache e gli stercorari, forse
per via del loro guscio duro, dato che venivano sputati quasi subito.
Adorava i lombrichi e soprattutto i pezzetti di carne di cavallo, questi
ultimi mossi dal sottoscritto con un lungo stecchino. Il discoglosso sardo
che viveva con me era piuttosto grande, circa 10-11 cm, per cui oggi
presumo che l'animale allora posseduto fosse una vispa "discoglossa",
e non un maschio. Di colorito marrone chiaro picchiettato di chiazze gialle
e nere, con pancia e sottogola bianca, poteva sembrare, vista dall'alto,
una foglia secca. Rimaneva immobile sul pavimento e si spostava con piccoli
salti, preferendo alla fuga il mimetismo. Talvolta si fingeva morta, si
lasciava prendere e se la rivoltavo sulla pancia, con un piccolo colpo di
muso si ribaltava. All'occorrenza tuttavia non disdegnava di esibirsi in
incredibili salti in alto, superando ostacoli di ogni genere.
Ricordo che
quando il discoglosso sardo mi fu donato, il primo problema che si pose
fu quello di trovargli un adeguato alloggio. Non avevo pero' alcuna idea
di come fosse fatto un terrario per anfibi e avevo sempre visto sui libri
di animali e in fotografia tartarughe e rane racchiuse in piccole bocce di
vetro (quelle usate per i pesci rossi, per intenderci) e coperti da una
reticella. Non avendo al momento una boccia di vetro (e per fortuna),
sistemai provvisoriamente il mio piccolo amico in un grande contenitore
di plastica, una scatola di circa cm. 70 (alt.) x 70 (lung.) x 50 (larg.)
che mio padre utilizzava per custodire piccoli attrezzi e materiale edile.
La svuotai, gli diedi una lavata e la strofinai per ripulirla. Dopo averla
riempita per 1/3 dell'altezza di terra e muschio che avevo raccolto sul
monte vicino a casa, vi ho introdotto alcuni ciotoli ed un tronchetto
di pino, cosi' per ricreare il giusto habitat. Ho aggiunto ovviamente
anche un piccolo recipiente contenente acqua, piscina che il mio
discoglosso sardo ha sempre evitato alla grande, quasi non sapesse
nuotare. Non l'ho mai visto infatti entrarvi dentro, e il suo
comportamento somigliava piu' a quello di un rospo che a quello
di una rana. Ho infine ricoperto la scatola-terrario con una
larga tavola di legno, lasciando giusto una stretta feritoia
per il passaggio dell'aria e per evitare che la bestiola potesse
scappare e soprattutto diventare preda di barbagianni e civette
del posto, numerose e sempre alla ricerca di gechi.
Quando uscivo
da scuola la prima cosa che facevo era tornare a casa attraversando il monte,
allo scopo di procurare al mio discoglosso sardo qualche insetto per il suo
pasto. Poi, giunto a casa, mi toglievo il grembiule, cenavo e verso le 20.00
spostavo il coperchio del terrario per gettarvi dentro le prede vive. Era uno
spettacolo vedere il piccolo gladiatore dalle zampe palmate saltare e
combattere i suoi "nemici" con la foga di un vero guerriero.
Quando l'insetto
era troppo grande, il discoglosso sardo afferrava la testa dell'invasore con
la propria bocca e bloccava le sue pericolose zampette seghettate con le
proprie zampine. Talvolta gliele staccava con una botta secca sbattendola
sulla parete del terrario. Poi, chiudendo gli occhi la ingoiava interamente ed
in un solo boccone. Ogni sera era una lotta straordinaria e cruenta, e, a fine
pasto, il discoglosso sardo si avvicinava senza timore al sottoscritto con
piccoli saltelli. Talvolta, alzando la testa mi fissava quasi per dire:
"piaciuto lo show?" oppure: "c'e' altro per cena?".
Solo ora rimpiango di non
avere avuto a portata di mano una macchina fotografica. (In realta' non avevo
la possibilita' di comprarne una. Oggi invece anche gli scolaretti piu'
spiantati hanno il cellulare che scatta le foto, la videocamera, ogni sorta
di apparecchio per prelevare immagini).
Una sera tornai a casa prima del
solito e con il mio barattolo pieno di cavallette mi avvicinai al terrario.
Spostata di lato la tavola che copriva il terrario, gettai al suo interno le
cavallette. Attesi circa due, tre, quattro minuti e forse piu'. Il mio
piccolo amico, che avrebbe dovuto fare i salti di felicita' per il mio
arrivo e gioire ancora di piu' per la cena anticipata, non si fece vivo.
Spostai il coperchio per 2/3 circa e iniziai a guardare bene tra le pietre
e negli angoli della scatola chiedendomi dove fosse. Niente. Il discoglosso
sardo non c'era piu'. Disperato, iniziai a scavare con le mani rovistando
nervosamente tra i muschi e la terra umida del terrario. Cercai anche fuori
dalla scatola, rovesciando i vasi di fiori sistemati sul balcone,
nell'eventualita' che il mio anfibietto latitante si fosse nascosto li'.
Nulla. Il discoglosso sardo era scomparso. Forse, mentre io ero a scuola,
era stato preso da un gheppio. Oppure la notte prima era stato catturato da
un qualche barbagianni.
Rimasi turbato per la cosa, non chiusi occhio quella
notte e il giorno dopo, ancora depresso, restai pure a digiuno. Andai a
scuola triste e rassegnato. Pur essendo solo un bambino, ricordo di avere
sofferto molto per la scomparsa della bestiola, quasi fosse il mio migliore
amico. Il giorno successivo, tornando da scuola, non passai per il monte, dato
che non vi era ragione di catturare insetti, e tornai per una scorciatoia
direttamente a casa. Verso le otto di sera decisi di svuotare definitivamente
il terrario e di buttare via il muschio, la terra, i ciottoli e quant'altro vi
era contenuto. Mentre mi accingevo a ripulire il terrario vidi in un angolo
della scatola e con mia grande sorpresa, il discoglosso sardo. Era li' e mi
osservava con due occhi furbetti chiedendosi certamente: "E allora? Dov'e' la
mia cena?" o "Che diamine stai facendo?". Rimasi anch'io a guardarlo, senza
parole, come ipnotizzato. In mancanza di insetti, gli diedi alcuni pezzetti di
carne di pollo presi dal frigorifero, bocconi che parve gradire molto. Ero
felice perche' erano le 20.00 e lui era li'.
Solo piu' tardi ho scoperto che
il mio amico discoglosso sardo, ogni volta che uscivo di casa per andare a
scuola, fuggiva dalla sua prigione e se ne andava a spasso. Poi, puntuale
come un orologio svizzero vi rientrava poco prima del mio arrivo e sempre
in ora di cena, cioe' verso le 20.00, facendomi cosi' credere di essere stato
nel terrario per tutto il tempo. Il suo nascondiglio non era in mezzo ai vasi
di fiori, come io inizialmente avevo pensato, ma in uno dei vecchi scarponi
umidi e infangati che io avevo qualche volta indossato per salire sul monte.
Gli scarponi erano l'unico posto dove io non avevo mai guardato.
Da allora
decisi di non preoccuparmi piu' se si fosse assentato ancora, perche' sapevo
che sarebbe tornato nel terrario. Lui, il mio amico discoglosso sardo, all'ora
di cena si presento' sempre puntuale all'appello e non manco' mai a quelle
ricche e deliziose cene, allietandomi sempre con quello sguardo furbetto che
solo i discoglossi sardi sanno fare. La sua seconda casa, i vecchi scarponi,
non furono da me piu' indossati e rimasero per sempre a sua disposizione.