Apologia del "Diverso"

Succinto trattatello di relatività estetica

(Articolo di Ludwig von Eulenberg, già apparso a Milano, nei numeri 8-9/1988 de "Il Quarantotto")
(articolo del 12/5/2002)


"Che schiiiifo: un ragno!" L'urlo, acuto e lacerante, dalla tipica configurazione isterica (dimostrata dalla successiva crisi di pianto), aveva squassato i timpani delle persone circostanti, facendole sussultare (mirabile solidarietà umana!), al pensiero di chissà quale orrenda sciagura.
Figuriamoci poi il povero aracnide che, senza considerare il trauma sicuramente subito dai suoi sensibilissimi organi sensori a causa degli ultrasuoni emessi involontariamente dall'isterica urlatrice, avrebbe sicuramente rischiato anche la stessa vita sotto il violento colpo di suola da scarpa di un cavalleresco e non altrettanto zoofilo passante, se non fosse intervenuto prontamente un tipo "singolare e stravagante" di passaggio a bloccare la mano che così eroicamente brandiva la calzatura, evitando le ovvie conseguenze ferali per il povero ragno.
Quindi, presolo delicatamente nel palmo della mano -fra gli sguardi stupiti ed esterrefatti degli astanti- si prese cura di deporlo in un angolo, al sicuro da eventuali ulteriori molestie, e poi se ne andò per i fatti suoi, noncurante dei commenti che lo consideravano, per dirla delicatamente, "un oligofrenico in libera uscita".


diverso...da chi? Non è un brano di un romanzo tragicomico d'avanguardia: purtroppo, è uno dei frequenti aspetti di una scottante realtà, ancora più triste, soprattutto se considerata dalla parte di quello che spesso e volentieri deve, contro voglia, recitare la parte della vittima, in episodi non sempre a "lieto fine" come quello sopra riportato.
Quasi sempre, il motivo dell'implacabile condanna del più debole -senza alcuna possibilità di appello, ovviamente- è l'aspetto estetico "diverso", "discutibile", "non decisamente gradevole", quando non si dica addirittura più direttamente "brutto", "repellente", "ripugnante", "schifoso", ed altri negativi quanto sgradevoli epiteti, indicanti netta disapprovazione estetica.
Purtroppo, abbordando il problema estetico, il discorso si complica, scaturendone inevitabilmente delle considerazioni fondamentali, per niente imprevedibili.
Proviamo, per esempio, a considerare la questione dalla parte del ragno, visto che era già in causa. Calandoci un tantino nei suoi panni, potremmo arrivare a captare il seguente pensiero: "Ma cos'avrà di bello quell'essere enorme, mostruoso?: ha solo quattro arti e due occhi. Quando mi vede, spesso, emette suoni sgradevoli. E' anche distratto e dispettoso: dopo che ho faticato tanto a costruire la mia tela, egli me la distrugge, non avendo cura di dove mette le mani o i piedi, o per il puro gusto di distruggere. E poi, perché certuni di questi esseri sembra che abbiano come unico scopo della loro vita quello di ucciderci a tutti i costi? Cosa abbiamo fatto loro di male?"

"Proprio nulla, caro ragno -potremmo rispondergli- il solo fatto è che per loro sei tu ad essere...diverso".
Ma cosa vuol indicare di preciso quest'aggettivo? Anche noi sicuramente appariamo diversi al ragno, ma non per questo egli fa una crociata (e non alludo necessariamente all'Epeira diademata, nota anche come Ragno Crociato) contro la specie umana. Si badi bene: l'esistenza di ragni macroscopici, mostruosi, antropofagi, fa parte solo di una letteratura favolistica di pessimo gusto, opera di autori psicologicamente frustrati che, in carenza d'idee, non esitano ad evocare nelle loro opere le più assurde creature del loro subconscio, zeppo di oscuri feticci della notte dei tempi, dimostrando in tal modo la loro mentalità distorta. Il peggio è che una simile letteratura, offerta spesso con l'ausilio di sofisticate iconografie, ci si presenta con verosimiglianza sconcertante, inculcando nelle giovani menti le ossessioni e le fobie dei suoi psicopatici autori.

Certo, non è solo il ragno ad essere il bersaglio di simili campagne diffamatorie: vi sono anche nella categoria dei "diversi", altri insetti, rettili, topi, anfibi, pippistrelli, rapaci notturni ed altre simili creature che, vuoi per il loro aspetto "poco gradevole", vuoi perché dispongono di efficaci mezzi di autodifesa (purtroppo insufficienti nei confronti dell'uomo), vuoi per l'ambiente in cui vivono, o per il loro periodo di attività o per la loro voce, si sono attirati senza colpa le antipatie della specie umana.
La superstizione, per esempio, ha portato l'uomo a diffidare delle specie animali con vita notturna; ne consegue che animali come gufi, civette, barbagianni, pipistrelli e così via dicendo, hanno presto popolato panorami medievali e postmedievali d'ispirazione stregonesca, dal carattere ossessivo e angoscioso. Quale incongruenza, se pensiamo che i rapaci notturni, considerati tuttora in Grecia come forieri di fortuna (in particolare la civetta, ai tempi classici sacra ad Atena), nel resto dell'Europa ed altrove siano considerati messaggeri di sventura, e vengano solo per questo motivo spietatamente massacrati, nella più assoluta noncuranza delle leggi che li proteggono, poiché in via di estinzione.
Mi risulta che ancora in tempi recenti, da qualche parte in Italia o altrove, fosse ancora in vigore nelle campagne l'usanza medievale di crocifiggere dei poveri pipistrelli, o dei barbagianni sulle porte di casa, con la convinzione di esorcizzare ipotetici demoni, convinzione che scaturiva dalla considerazione che i predetti demoni dovrebbero spaventarsi, vedendo esseri "così brutti".

Mi sembra evidente come i concetti di bellezza o bruttezza (cfr. i principi taoisti Yin e Yang, includenti anche questi due aspetti), siano qualcosa di molto relativo. Per dirla altrimenti, è risaputo che nulla è mai totalmente bello o brutto, e comunque, se ci pare tale, ciò dipende molto dalle circostanze in cui lo sentiamo o vediamo. Mi vien da pensare, a tal proposito, alla commedia "Rinoceronte" di Eugen Ionescu, nella quale questo principio è paradossalmente messo in rilievo, esaltando la sempre crescente bellezza dei rinoceronti in aumento, in rapporto alla bruttezza degli elementi umani in diminuzione.
Però, come dicevo, la pretesa "bruttezza" non è l'unico requisito necessario per far considerare "diversi" degli esseri. Basti citare, ad esempio, il Foscolo che, ne' "I sepolcri" ci fa vedere

"....uscire del teschio ove fuggìa la luna
l'upupa, e svolazzar su per le croci
sparse per la funerea campagna
e l'immonda accusar col luttuoso
singulto i rai di che son pie le stelle
alle obbliate sepolture." (vv. 81-86)


e poi dicono che ci vedono male! Povera upupa! Non so proprio cosa gli abbia mai fatto, per essere trattata così male! Fatto sta che, in tal modo, il buon Foscolo ha notevolmente contribuito alla diffamazione di questo volatile, dalle abitudini notturne, è vero, ma che, oltre ad essere tutt'altro che brutto o "immondo", non si sognerebbe mai di rifuggir la luce in un cranio dissotterrato, per non parlare del verso che, se non sarà proprio dei più gradevoli (comunque, mai quanto quello di un "angelico e regale" pavone), a me sembra tutt'altro che luttuoso. Evidentemente la visione fosca e sepolcrale di moda all'epoca, nonché l'accesa e torbida fantasia del poeta di Zacinto, hanno influenzato negativamente la sua visione della natura. Non so di preciso se sia derivato o meno da questa visione foscoliana il detto romeno "colac peste pupaza", ovverossia, letteralmente, "ciambella [preparata per le funzioni funebri] sull'upupa" (con il valore di "ci mancava solo questo come se non bastasse..."), o se piuttosto la visione di Foscolo non sia stata influenzata da un modo di vedere tipico dei Balcani...

Tornando al nostro discorso di base, posso ancora far notare che non è necessario un particolare requisito estetico relativamente interpretabile, per essere fatti oggetto di un'accurata campagna di persecuzione e diffamazione; è sufficiente soltanto essere "diversi".
Infatti, il primatide della specie Homo sapiens, è risaputo che già non ha un atteggiamento di particolare tolleranza, nell'ambito della sua stessa specie, per le razze diverse dalla propria, arrivando ad approfittare finanche della propria facoltà razionale per creare vere e proprie teorie filosofiche, spesso con addentellati religiosi, per avvalorare la superiorità della propria razza. Figuriamoci poi quando si tratta di altre specie, che egli arriva a considerare come "inferiori", spesso solo per il fatto che, non potendosi esprimere in un linguaggio a lui comprensibile, non possono estrinsecare i propri sentimenti e i propri pensieri (soprattutto di disapprovazione).
Un ruolo preponderante nel rapporto con i "diversi" è giocato dall'ignoranza, oltre che da un'incapacità comunicativa da parte umana; ne consegue la tendenza a temere chi è "diverso", non conoscendone le abitudini e le reazioni. E qui hanno origine mitologie assurde di mostri, vampiri, lupi mannari, che, incutendo timore alle generazioni più giovani, istigano ad inutili atteggiamenti difensivi, quando non addirittura aggressivi. Mi viene a questo punto in mente la scena di due persone, in uno zoo, davanti alla gabbia ove dei poveri lupi intristivano per la loro forzata detenzione; la prima, rivolta al lupo diceva "ma quanto sei brutto!" (e magari l'interessato avrebbe potuto rispondere, se avesse potuto, "sarai bella tu!"); la seconda istruiva il proprio figlio sulla bruttezza e sulla voracità del lupo... che, se fosse uscito di gabbia, l'avrebbe mangiato!...
E' evidente come una simile stigmatizzazione del "brutto" o del "diverso", nei confronti della propria specie, come pure -e soprattutto- di altre, venga inculcata nelle giovani menti sin dalla più tenera età, magari sotto le spoglie di un utile deterrente psicologico: "Se non fai il bravo, viene l'uomo con la barba (oppure l'uomo nero) e ti porta via", o anche "...il lupo cattivo ti mangia", e chi più ne ha più ne metta. Ovviamente simili espedienti, per niente pedagogici, altro risultato non hanno se non quello di popolare la fantasia dei fanciulli di incubi che si ripercuoteranno con un marchio indelebile sul loro comportamento futuro da adulti. E qui ritorniamo all'episodio, con cui ho aperto il presente articolo. Spero che alcune delle lettrici non se l'abbiano a male se l'intollerante protagonista citata sia proprio una donna; tengo a specificare che non voglio con ciò generalizzare il caso, etichettando come puramente femminile un simile comportamento. Infatti, se le casistiche esaminate dimostrano una particolare predisposizione del gentil sesso per simili reazioni nei confronti di elementi traumatizzanti, devo dire personalmente di aver osservato individui di sesso maschile abbandonarsi a grottesche manifestazioni non meno isteriche, magari alla presenza di un semplice bruco! Se poi i figli di simili elementi emulassero i genitori nel loro atteggiamento di rifiuto del "diverso", non ci sarebbe niente da meravigliarsi.
Ho avuto modo infatti di assistere a scene in cui degli insegnanti dovevano fare degli sforzi eroici per evitare che i propri allievi (cari frugoletti!) massacrassero ragni, formiche ed altri insetti, oppure lucertole o lombrichi, col pretesto del loro aspetto "schifoso".
Certo, esistono uomini di buona volontà che ce la mettono tutta per far amare ed apprezzare questi esseri "diversi", mettendone in luce le qualità positive in interessantissimi servizi documentari stampati e filmati, che purtroppo non sempre arrivano a colpire nel segno, sempre per il disinteresse verso ciò che "diverso".
Posso citare un divertente episodio a cui ho avuto modo di assistere in Val d'Aosta, nel 1975. Un mio amico, che possedeva un cucciolo di Boa constrictor constrictor della lunghezza di circa 70 cm., pensò di fare un bello scherzo goliardico, portando a spasso per un sentiero di montagna in Val Ferret il piccolo rettile, ben in vista, avvolto alla sua mano. Alla gente che, passando, gli domandava che serpente fosse, egli rispondeva che era una vipera.
Risultato: avrà incontrato una quarantina di persone almeno, delle quali nessuno ha minimamente messo in dubbio la sua affermazione, reagendo, alcuni (la maggioranza) dandosi alla fuga; altri (solo due o tre), rassicurati dall'asserzione che alla pretesa vipera fossero stati tolti i denti del veleno, si sono avvicinati per commentare sulla bruttezza della stessa, uno, anzi, si è estrinsecato coi due figlioletti in un'interessante esposizione didattico-pratica sulle caratteristiche di quella che credeva essere una Vipera aspis...(tengo a sottolineare la notevole diversità di aspetto tra la vipera e il boa, non solo per la forma, ma anche per il disegno della pelle).
Bisogna specificare a questo punto che l'amministrazione regionale della Val d'Aosta da anni provvedeva ad affiggere vistosi manifesti a colori con le foto dei rettili presenti nella valle, per aiutare i turisti a saper distinguere quelli innocui da quelli velenosi, con dovizia di dettagli sul tipo di ambiente da loro prediletto. E' chiaro che nessuno dei predetti turisti aveva soffermato la propria attenzione su simili manifesti, nè si era mai preoccupato di sapere come fosse fatta una vipera; comunque la reazione che ho potuto osservare di solito davanti alle foto esposte, quando non è stata di disinteresse totale, talvolta si manifestava con commenti del tipo "che brutto", "che schifo", o, peggio ancora "che pessimo gusto, terrorizzare i turisti con simili brutture!".
Giunto alla fine di quest'esposizione, mi vien di pensare che forse, anzi, sicuramente non sono il primo (e spero neppure l'ultimo) a spezzare la spada in favore dei "diversi", ma penso che non sarà proprio fatica e carta sprecata, se qualcuno sarà indotto di conseguenza a meditare su una verità fondamentale: che tutti quanti, a prescindere da considerazioni estetiche di qualsiasi tipo, in questo mondo abbiamo egual motivo e ragione di vivere tranquillamente, come pure il diritto al rispetto, per il ruolo svolto nell'equilibrio ambientale, per quanto insignificante possa sembrare.


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