Macchine per uccidere

mostrologia in pillole
di Ludwig von Eulenberg
(articoli pubblicati dal 30/11 al 7/12/2002)


Motto: "Il lupo perde il pelo, ma non il vizio"

INTRODUZIONE: il mostro colpisce ancora, ... ma dov’è?

E soprattutto dovremmo domandarci: chi è? L’interrogativo -secondo un modo di dire, reso ormai proverbiale da un noto personaggio televisivo- sorge spontaneo allorché ci capita di leggere qualche brillante articolo di cronaca o di ascoltare qualche notizia radio o telegiornalistica, aventi per oggetto gli animali, soprattutto quelli genericamente non annoverati fra quelli "da compagnia", ma talvolta anche qualche documentario svolge il suo significativo ruolo nel creare idee o concezioni errate su larga parte del mondo animale.
Avevo già provato, un po’ d’anni fa, a mettere in luce il problema con un paio di saggi (Apologia del ‘diverso’ e "Zoofobia, ovvero attenti all'uomo"), ma vedo che il problema, ben lungi dall’essere risolto, è sempre ben vivo: una vera piaga inguaribile per una società come la nostra, che si definisce progredita e che pretende di aver superato certe fobie, certi equivoci, e soprattutto certi pregiudizi.
Il maggiore accesso all’informazione, soprattutto scientifica, dovrebbe aver contribuito significativamente in questa direzione, ma spesso ci accorgiamo che, eccettuando gli appassionati zoofili, allevatori, naturalisti e simili, la massa continua ad ignorare le fonti serie d’informazione, affidandosi alle cronache discorsive, che molto non si discostano dal "sentito dire" e che tuttora si compiacciono della continua creazione di "mostri" da portare alla loro ribalta, con l’evidente intenzione di "far notizia".

Molti dei lettori avranno sicuramente sentito citare l’assioma in base al quale non è il cane che morde l’uomo a far notizia, ma, se mai, l’evento opposto; eppure, ultimamente, è sempre più oggetto di cronaca l’evento di cani che mordono qualcuno, apparentemente senza alcun motivo; eh già, tanto mancano sempre i testimoni a suo favore e poi, anche se cerca di dire la sua, il cane, chi lo capisce? L’uomo parla un altro linguaggio; a volte è proprio questa incomprensione reciproca, all’origine del "fattaccio". Sembra quasi una moda e poi ogni periodo storico ha una razza canina contro cui scatenare l’opinione pubblica: all’epoca dei miei due saggi summenzionati il ruolo dei mostri mordaci era affibbiato ai Dobermann (sui quali si farneticava oltremodo, sostenendo una loro razziale predestinazione alla follia mordace, dovuta ad una crescita sproporzionata del cervello rispetto alla capacità della scatola cranica); improvvisamente l’attenzione "mostruosa" riservata ai Dobermann è scemata ed all’onor della cronaca nera sono assurti i Rottweiler, che hanno dovuto (credo anche con un sospiro di sollievo) poi cedere il passo ai Pitbull, attualmente in prima posizione nella graduatoria della "mostruosità" canina, e vien da pensare che in un futuro si vedranno soffiare il titolo da qualche altra razza, alla quale la distorsione mentale e la disinformazione della specie umana, con il valido supporto dei media, rivolgerà le "premurose" attenzioni.

A farla breve, poco ci manca che non sia l’uomo a mordere il cane (basti pensare anche al caso dei Beagle allevati a scopo sperimentale), ma questo poco importa ai cronisti che comunque, pur di mettere in scena il loro bravo "mostro", si guardano bene dall’evidenziare come, a parte qualche raro caso di follia (evento, peraltro, dal quale neppure gli umani sono esenti) quasi sempre la responsabilità di un comportamento aggressivo del cane vada ascritta ad una pessima educazione da parte del detentore.
Quanto detto per il cane, porta alla conclusione che, da "migliore amico dell’uomo" per antonomasia, lo si faccia diventare un folle omicida allo stato latente. Che dire di altre simpatiche bestiole, che altro non chiedono su questa terra, se non di condurre la loro personale lotta per l’esistenza nel modo migliore, più pacifico e meno cruento possibile? L’aspettativa di questo loro più che lecito diritto si viene invece a scontrare con la sempre più prepotente avanzata di un essere che, nella piena convinzione di essere padrone della natura, si sente sovente in diritto di devastare, inquinare e massacrare indiscriminatamente, eliminando dal proprio circondario tutto ciò che la sua soggettiva valutazione ha decretato come brutto, cattivo, inutile o pericoloso: l’uomo.

Gl’insetti sono tra quelli che spesso continuano a finire vittime di queste soggettive condanne. Solo per fare un esempio riferirò quello che non molto tempo fa mi è capitato. Passeggiando per un bosco (non era in Italia, ma non dico dove, per non affibbiare una condanna esclusiva ad un popolo, quando il fatto potrebbe accadere dappertutto) noto per terra qualcosa che ho subito identificato per un coleottero, abbastanza grosso (circa 4 cm) e di una specie che non sono riuscito ad identificare, anche per il fatto di non averne mai incontrati mai personalmente e soprattutto vivi. Eh già: perché l’interessante esemplare, purtroppo giaceva lì, per terra, immobile, presentando i segni dell’orribile compressione che ne aveva causato la morte non molto prima (praticamente era spiaccicato a terra); il coleottericida, sicuramente uno dei tanti che vanno in quel boschetto a passeggiare, a fare jogging o a raccogliere funghi, a portare il proprio cane a spasso o a passare in qualsiasi altro modo (non costruttivo in questo caso) il proprio tempo libero, ha pensato di avere eroicamente liberato quell’ambiente da quella bruttura nerastra, magari nella sua ignoranza, avrà anche scambiato l’insetto per uno scarafaggio (il che non ne giustificherebbe comunque l’uccisione) ed avrà proseguito serenamente nelle sue attività ludiche, magari devastando un po’ dei vari funghetti non commestibili che crescono abbondantemente in quel luogo e che ne sottolineano il fascino. Per fare un parallelo, sarebbe come se, visitando una città per turismo, sterminassimo tutti gli abitanti il cui aspetto non ci riuscisse gradito; qualcuno obietterà l’assurdità del parallelo, specificando che qui si tratta di esseri umani? Indubbiamente il parallelo è un po’ sconcertante, ma quanto all’essere lontano da una certa realtà, mi spiace dover controbattere che la storia ci ha dimostrato come i vari colonizzatori (ad esempio i Conquistadores) abbiano sterminato intere popolazioni indigene (notare: esseri umani!), spesso pacifiche ed accoglienti, adducendo motivazioni analoghe a quelle del suddetto coleottericida. Il tutto sta a dimostrare che chi, per primo, ha detto che chi non sa rispettare le bestie (ma chi è poi la vera bestia?) non sa rispettare neppure l’uomo, avesse scoperto una profonda verità. Restando in tema d’insetti, non mi attardo nel panegirico su questi esseri affascinanti che da remote ere popolano la terra, adattandosi alle circostanze più svariate. Dovrebbe destare ammirazione l’osservare esseri così piccoli, eppure così complessi, ed invece sembra che nella maggioranza degli umani destino esclusivamente avversione, nessuno escluso. Non so quanti esseri umani apprezzino e consumino del miele, ma sicuramente sono tantissimi; non altrettanti di loro sono coscienti del fatto che il prelibato alimento sia prodotto proprio da quegl’insetti alla cui sola vista, se non corrono a prendere la bomboletta d’insetticida, come minimo cominciamo a reagire in modo spropositato, sovente lo stesso che, spaventando gl’insetti, ne causa l’attacco. Una cosa simile è ancora più valida per le vespe; certo, di miele non ne producono, ma sono degl’impollinatori utilissimi (e non solo loro) e poi non sono nemmeno così brutte a vedersi; certo, se spaventate, possono essere più aggressive delle api (ed i calabroni lo sono ancor di più) e la loro puntura assai più dolorosa, ma conoscendole si sa che basta stare tranquilli, evitare mosse brusche e potete giurarci che hanno di meglio da fare che venirvi a pungere: tutt’al più, incontrandovi sulla loro rotta di volo, vi faranno un giretto d’ispezione intorno, per poi continuare a farsi i fatti loro.
Posso garantirvi che mi è capitato, in occasione di una scampagnata, di trovarmi in compagnia di un nugolo non indifferente dei graziosi imenotteri che mi svolazzavano da tutte le parti, e che osservando le suddette regole, ho potuto continuare a mangiare tranquillamente ed indisturbato, anzi, consentendo loro di favorire (in fondo erano venuti per quello). I miei compagni di scampagnata? Beh... stendiamo un velo pietoso: nessuno fu punto, ma, dalle loro scomposte reazioni, ho avuto la netta sensazione che non abbiano per nulla gradito gl’inattesi commensali volanti. E poi, soprattutto in campagna o nella natura, se non troviamo questi insetti lì, dove altrimenti ci aspetteremmo di trovarli? Certo, gli abitati umani ormai si stanno estendendo anche in aree rurali, laddove un tempo l’umano era sostanzialmente un intruso, mentre ora sono gli animali, che per definizione hanno sempre occupato quei luoghi, a trovarsi nel ruolo degl’intrusi. E così entrano in gioco gl’insetticidi. Partendo dal presupposto che qualche raro umano potrebbe avrebbe avere una reazione anafilattica alla puntura, piuttosto che ricorrere ad un antidoto sempre disponibile, piuttosto che ad un repellente o meglio ad un’educazione sul come non farsi pungere, si preferisce lo sterminio indiscriminato di massa, ricorrendo ad uno dei tanti micidiali prodotti specifici che da un po’ di anni in qua riempiono intere "gondole" dei reparti giardinaggio dei supermercati e dei rivenditori di articoli per bricolage; sono rimasto addirittura sconcertato nel constatare la quantità e la varietà di prodotti solo dedicati ai vespoidei in genere, prodotti micidiali, che incutono paura solo all’idea di maneggiarli anche con i guanti; l’effetto letale non è limitato solo a vespe e calabroni, ma anche ad altri imenotteri come le api. Certamente anche per gli uccelli e, ovviamente, per l’uomo non sono proprio un toccasana. Come effetto secondario di questa tendenza allo sterminio, nella mia zona, ho notato una significativa riduzione della produzione di frutta o di semi, a causa della carenza o assenza d’impollinazione. Quest’anno poi, sembra che proprio le api, un po’ per il cattivo tempo, un po’ a causa di un parassita e quindi anche dell’abuso d’insetticidi, hanno subito una significativa moria e quindi anche la produzione del miele ne ha risentito (con conseguente rincaro dei prezzi), ma forse ai patiti dello sterminio non importa molto di questo, magari convinti che il miele, così come altri prodotti (carne, ortaggi, frutta, ecc.) si formi da solo, in barattoli, sugli scaffali dei supermercati o altre simili amenità assurde che un certo tipo di pubblicità vorrebbe spingere a credere, proponendo improbabili Eden, dove la scatoletta di pomodoro cresce sulla pianta e le bistecche si formano dal nulla o dove alacri gnomi producono gli alimenti più disparati. Chissà! Una cosa sola posso dire: che ultimamente incontrare api, vespe o certi altri insetti, è diventato un evento eccezionale, da riportare tra le cose memorabili, direi addirittura da festeggiare, considerandolo come un evento di buon auspicio. Trovate che sia fuor di luogo, a questo punto cominciare a nutrire una seria preoccupazione? In un documentario televisivo, non ricordo più chi lo trasmise (ma non credo meriti ricordarselo), una volta ho sentito dire, da uno che si pretendeva amante degl’insetti, proprio a proposito di api e vespe, che gl’insetti ci percepirebbero non come esseri viventi, ma come "elementi dell’arredo" dell’ambiente naturale. Molto interessante: da una simile teoria deriverebbe l’idea che codesti esserini siano dei poveri squilibrati che si spaventino per degli elementi d’arredo attaccandoli pure; chissà poi perché non si spaventino ed attacchino gli alberi mossi dal vento, per esempio..., o chissà poi come valuteranno l’elemento d’arredo che magari salva loro la vita, come ho fatto anch’io più volte, togliendoli da qualche piccolo accumulo d’acqua, dov’erano sbadatamente caduti e dove rischiavano d’annegare.
Un barlume di speranza mi era baluginato, allorché qualche tempo fa, avevo visto segnalato un sito che trattava d’insetti ed altri animali poco "comuni" dei quali, a prima vista, tesseva le lodi; potete immaginare la delusione, allorché ho scoperto, non solo che era il sito di un esperto in disinfestazione (ragion per cui mi astengo dal citarlo in questa sede), ma anche quando, nella sezione "domande e risposte", ho potuto constatare quanta gente è desiderosa di allontanare dal proprio ambiente (magari sterminandoli spietatamente) animali che invece qualsiasi persona sensata sarebbe fiera di ospitare, o almeno di averli come vicini, considerandone la presenza come una fortuna.

Preferisco astenermi dal commentare ulteriormente, lasciando ai lettori, se ne avranno voglia, lo spazio per ulteriori considerazioni. Mi limito a dire che, se posso schierarmi tra quelli che, dovendo rimuovere un insetto dannoso da un ambiente, piuttosto che eliminarlo fisicamente, optano per la soluzione del terrario (che consente inoltre l’opportunità di un esame comodo e ravvicinato del soggetto -cfr. Filosofia nel terrario-) siamo sempre in troppo pochi a condividere l’idea di una simile alternativa non cruenta.
Abbiamo ben potuto constatare che gl’insetti, lungi dall’essere visti come esseri meravigliosi, da osservare, studiare, ammirare e comunque rispettare, continuano, per i più, ad essere considerati mostri da combattere e sterminare dalla faccia della terra. Anche i rettili, purtroppo, non hanno sorte migliore, ma di questo parleremo nel prossimo episodio.

EPISODIO I: può accadere nella metropoli...

Provate un po' ad immaginare di trovarvi al momento sbagliato, nel luogo sbagliato. Magari avete sbagliato strada, magari qualcuno vi ci ha trasportato inavvertitamente, o magari, perché no, qualcuno vi ci ha scaricato, accorgendosi che il tenervi cominciava ad essere un problema. Vi sentite piccoli, indifesi, sperduti in un ambiente inospitale, che non conoscete, pieno d'insidie, di pericoli. Esseri viventi giganteschi vi passano accanto, ed altri oggetti semoventi, ancora più giganteschi, sfrecciano di qua e di là con rumori assordanti. Improvvisamente venite scoperti: un gruppo di quegli esseri giganteschi, armati di bastoni, vi attornia. Forse potreste tentare una difesa o una fuga, ma siete paralizzati dal terrore; di chiedere aiuto, manco a parlarne: vi trovate soli e tutt'a un tratto quegli esseri mostruosi, cominciano ad assestare colpi tremendi ed in questo modo atroce vi accorgete che dovete abbandonare questa valle di lacrime (dove però, come molti sostengono, ci si piange così bene!). "Ma questo sembra un incubo oppure è la trama di un film di tensione!", diranno sicuramente molti di voi. Per amor d'onestà specifico di non essere un amante dei "thrillings" (e, ad essere proprio sincero, li detesto), ma, nonostante ciò, avrei preferito che fosse stato veramente così; devo invece constatare che si tratta di un fatto realmente accaduto, e che ha avuto come involontario protagonista, nel ruolo della vittima, un esemplare di Vipera Berus, alias Marasso palustre; scenario del dramma, la città di Milano, il giorno 18 settembre 2002.
Nella metropoli lombarda, solo un paio di giorni prima, la fuga di un cucciolo di canguro da un famoso circo era ascesa all'onore delle cronache, a causa del parapiglia che aveva scatenato, con intervento di diverse pattuglie di polizia. Il caso vuole che, nell'opinione dei più, giornalisti inclusi, un canguro sia reputato molto più carino di una vipera, tanto più se cucciolo, destando una tenerezza di cui difficilmente sarebbe oggetto un cucciolo di serpente, meno che mai di vipera. I giornalisti si sono addirittura sbizzarriti in sognanti estrinsecazioni di romantiche ricerche di libertà; quanto al cangurino, è stato recuperato con tutti i riguardi, senza torcergli un pelo, e restituito al legittimo proprietario. Ben diversa è stata la sorte della vipera (sempre che proprio di vipera si trattasse e che fosse vera la versione fornita dagli "esperti"); va da sé che, trovandosi agli antipodi della scala estetica nel sentire della maggioranza, la reazione all'incontro ravvicinato è stata delle più irrazionali e distruttive. Ovviamente ho dovuto constatare che, a dispetto della ricca documentaristica di massa (TV, riviste etc), l'atavica avversione nei confronti dei rettili, ancor più se muniti di veleno come arma di difesa, è sempre ben viva. Altrettanto viva è la tendenza a vedere simili creature come mostri sanguinari, che altro scopo non hanno nella vita se non quello di cercare esseri umani da far oggetto del loro morso letale. Simili individui, ovviamente ignorano che una vipera (come altri animali dotati di simili risorse di attacco/difesa) non è così idiota ed autolesionista da sprecare il proprio veleno per un essere che non rientra nella propria dieta, rischiando di trovarsene poi sprovvista in caso di necessità, col rischio di morir di fame; ignorano anche che il tenero cangurino, avvicinato in modo improprio, soprattutto se impaurito, con le sue - sempre graziose - zampone posteriori, potrebbe assestare colpi, non dico necessariamente micidiali (l'adulto, con una zampata, può anche uccidere un uomo), ma comunque veramente molto più devastanti di un morso di vipera.
A questo punto, so bene che cos'avrebbe fatto uno dei lettori ai quali questo mio sfogo è destinato: quand'anche non fosse stato personalmente in grado di catturare il rettile per rilasciarlo poi indenne in un luogo più adeguato (sempre che non avesse deciso di adottarlo), avrebbe contattato un erpetologo che provvedesse alla cattura e trasferimento dell'animaletto.
Qualche esperto dotato di un pizzico di venalità (che mi guardo dal censurare) avrebbe ceduto il rettile alla Sclavo, che - previo compenso -, li raccoglie e li alleva per prelevarne il veleno, da usare per la produzione del ben noto siero (o almeno così mi risulta che facesse, un po' di tempo fa, ma credo che lo faccia ancora..
La nostra vipera, invece, non ha avuto una simile fortuna. Come sia finita a Milano non si sa, ma poco importa. Aveva trovato rifugio in un angolino, accanto alla porta d'ingresso di un condominio e, mentre se ne stava lì, magari a prendere un po' di sole come ogni buon rettile che si rispetti, evidentemente un po' intorpidita, sicuramente disorientata, è stata individuata da una gentile signora che ha pensato bene di ricorrere al 113; una pattuglia è intervenuta e un gruppetto di eroici agenti (credo quattro) ha eroicamente e coraggiosamente eliminato a bastonate il "pericolosissimo rettile". Tralascio le considerazioni sull'erpetofobia degli eroici bastonatori (sulla cui efficienza nella tutela dell'ordine pubblico non trovo tuttavia nulla da ridire), ma non posso fare a meno di soffermarmi a considerare che doveva essere ben pericolosa la "buonanima", per lasciarsi eliminare a bastonate e per richiedere l'azione combinata di più umani, quanto il fatto che indossassero o meno un'uniforme può lasciare perplessi più che altro nei confronti di chi ha ritenuto di rivolgersi ai tutori dell'ordine per un problema risolvibile in modo più semplice e, soprattutto incruento. Quanto al povero rettile, è ovvio che nessuno ha minimamente pensato a discorsi commemorativi o elogi funebri (dei quali sicuramente sarebbe stato oggetto il cangurino se malauguratamente fosse finito sotto un TIR); la notizia è stata data dal giornalista con sottofondo di canzonetta lirica (dedicata a una fatale donna-vipera), contorno di battute che mi astengo dal definire e sorrisetto - ancor più indefinibile - di compiacimento per la morte del "mostro" e di autocompiacimento per le salaci battute, che probabilmente avranno fatto sorridere solo gli autori delle stesse.

EPISODIO II: ...e lassù per le montagne? Andrà forse meglio?

In "Apologia del ‘diverso’" (già apparso su queste pagine) avevo, tra l'altro, accennato all'episodio del boa scambiato per vipera ed a come la gente non badasse troppo ai manifesti informativi sulle differenze tra le vipere presenti nella Val d'Aosta ed altri innocui ofidi locali. Bisogna dire che nella regione in questione qualsiasi appassionato naturalista avrebbe di che soddisfare il proprio desiderio di osservazione della fauna, soprattutto di quella insolita, ignorata dai più.
Intorno agli anni "60 si sarebbe potuti restare a bocca aperta, scoprendo l'enorme varietà di ortotteri, coleotteri, lepidotteri, imenotteri e via dicendo, che popolava la zona. La stessa meraviglia, una volta ultimata la superstrada del traforo del Monte Bianco, nel vedere l'enorme quantità dei suddetti esseri, giacere defunti ai bordi della strada stessa o spiaccicati su di essa, a parte la constatazione della riduzione quantitativa di quelli in vita. Quanto ai rettili come bisce e, soprattutto vipere, vale la pena ricordare un paio di episodi attardandoci in qualche ulteriore considerazione.
Cominciamo innanzi tutto con la specificare che in Val d'Aosta, fin verso gli anni 70, erano presenti - e spero lo siano ancora - due tipi di vipera: la Aspis (nelle varianti V. aspis aspis ed V. aspis atra) e la V. berus. Per quel che mi riguarda, devo dire che, fino al 1975, non ho mai avuto la fortuna di incontrarne una durante le varie escursioni, neppure nelle zone che passavano per essere autentici inferni, ove l'escursionista si sarebbe trovato a passeggiare in una specie di bolgia dantesca, con vipere che gli sfrecciavano da tutte le parti, noncuranti della sua ingombrante presenza: tremendo, vero? Una di queste zone era la Val Chavannes, sopra La Thuile, dove si recavano i turisti desiderosi di raccogliere stelle alpine, quando ancora era possibile farlo. Devo dire che una mia escursione da quelle parti - animato più dal desiderio di vedere almeno una di quelle mitiche vipere che di raccogliere stelle alpine (tant'è che ne raccolsi soltanto una, e neppure eccezionale, giusto per dire che ero passato di lì) - mi ha consentito di godere della pace della montagna e di un gradevole panorama, di respirare aria ottima, ma, quanto a vipere, neppure l'ombra! Già: neppure una traccia che potesse ricondurre al tanto deprecato rettile; che delusione! E dire che non molto tempo prima un escursionista che alloggiava alla mia stessa pensione ebbe l'incontro ravvicinato! Ecco il suo racconto: si stava arrampicando carponi per il pendio, quando, giunto quasi in cima, vede una vipera eretta in "posizione cobra", che gli sibilava contro. Cosa ti escogita allora il nostro eroico gitante? Fa un rapido dietro front e si mette a correre a rotta di collo, giù per l'erta che aveva salito carponi, fino a metter male un piede e slogarsi la caviglia; lo vedemmo tornare la sera all'albergo con l'arto ingessato, e così passò quasi tutto il periodo restante della sua villeggiatura. È proprio vero (pensavo) che certa gente ha tutte le fortune e non le sa apprezzare! È vero che in un incontro ravvicinato come quello appena esposto il fattore sorpresa ha fatto perdere la testa al gitante, ma di sicuro anche la vipera, prima di tornare ai fatti propri, avrà avuto il suo bel meravigliarsi della reazione spropositata di terrore del proprio inatteso antagonista.
Qualcuno, proprio da quella parte, mi aveva raccontato che, in una delle vallate, il costume folcloristico prevedeva (e forse lo prevede tuttora) dei sonaglini attaccati alle calzature e questo - allorché tale costume veniva usato quotidianamente e non solo in feste folcloristiche ad uso dei turisti - con lo scopo precipuo di camminare sicuri di non incontrar vipere. Sembra che anche i canti di montagna abbiano lo stesso effetto. Infatti la vipera non gradisce certe vibrazioni sonore; d'altronde, visto anche l'enorme inferiorità dimensionale, ha paura dell'uomo; quindi le vibrazioni prodotte dai passi umani le preannunciano la presenza, nei paraggi, di qualcuno del quale è meglio stare alla larga. In altre parole, un bel passo cadenzato, soprattutto se ai piedi abbiamo delle appropriate calzature da montagna, che contribuiscono ad incrementare l'effetto sonoro dei passi, è un buon sistema per non fare mai incontri a sorpresa. Inoltre, trovandosi in mezzo ad un ambiente naturale sarebbe il caso di ricordarci che, alla fin dei conti, gli estranei da quelle parti siamo proprio noi e quindi, prima di ficcare mani piedi da qualche parte, per raccogliere fiori, funghi, minerali, o che so io, un'altra buona norma sarebbe quella di rovistare prima garbatamente con la punta di un bastone (utile anche per appoggiarsi), in modo da consentire l'allontanamento di eventuali esseri che, per quanto carini, sentendosi con le spalle al muro potrebbero avere reazioni aggressive.
Evidentemente proprio l'aver sempre osservato questi accorgimenti mi ha sempre evitato il privilegio d'incontrare a vista bisce o vipere (pur avendone sentito, gl'indizi dell'allontanamento, come ad esempio dei fruscii. Può capitare solo di rado che i percorsi vostro e del rettile s'intersechino, ma posso garantirvi che, se vi limitate all'osservazione, senza reazioni strane, v'ignorerà e continuerà per la sua strada. (La lettura del bellissimo articolo di Emanuele Melani -apparso in questo stesso sito nella sezione rettili- proprio a proposito della "diva" in questione, può confermare l'attendibilità della mia esperienza personale).
In due circostanze ho avuto tuttavia l'opportunità di un incontro ravvicinato, gli ultimi due anni che sono andato da quelle parti. La prima, purtroppo, mi ha lasciato l'amaro in bocca. Un giorno, tornando all'albergo, vedo una scena raccapricciante: appesa a testa in giù pendeva la carcassa di una Vipera aspis atra, maciullata in malo modo. Non ci è voluto molto a scoprire l'eroico autore della bravata: un tale che, mentre la poveraccia se ne stava pacificamente a prendere il sole, pensò bene di prenderla a martellate e purtroppo riuscendo a farla fuori; il "ganzo" se ne vantava e chiedeva informazioni su come fare ad incassare il premio (o forse dovremmo dire taglia?) per aver eliminato la famigerata vipera: un vero bounty-killer . Il suo entusiasmo scemò immediatamente allorché, da uno scambio di battute con me, apprese che, per avere la ricompensa (allora, negli anni "70, ammontava a 5.000 lire) avrebbe dovuto catturarla e consegnarla viva; la sua bravata si era dunque risolta coll'inutile massacro di una povera bestia che, a lasciarla in pace, non avrebbe fatto male a nessuno e si concluse con suggerimento di non vantarsene più, vista la figuraccia che aveva fatto. La seconda volta, invece, ho avuto più fortuna. Avevo deciso, insieme a un altro villeggiante, di fare una scappata al Lago Liconi. Un brusco peggiorare del tempo ad alta quota ci aveva indotto alla prudente decisione di desistere dal procedere e far ritorno per un altro sentiero, verso Plan Gorret, dove il fronte della pioggia non ci avrebbe colti prima di far ritorno all'automezzo. Ad un tratto, mentre scendevamo, ho visto qualcosa di notevole che ci stava attraversando in diagonale il sentiero e che mi dava proprio l'impressione di essere l'incontro ravvicinato sempre mancato. Essendo adeguatamente equipaggiato per evitare sgradevoli conseguenze, ho bloccato il rettile con un piede, con la tecnica arcaica usata da certi "serpari" (ma che sconsiglio assolutamente i lettori dal tentare di utilizzare, visto che richiede notevole perizia e che con una pressione non ben calibrata - soprattutto quando si calzano scarponi anfibi da montagna - si sortirebbe l'effetto d'immobilizzare per sempre la bestiola); era uno splendido esemplare di Vipera aspis aspis, ovvero, col corpo bianco candido e col disegno verde e nero lungo il dorso, di un'ottantina circa di centimetri, di sesso maschile. Per tutto il tempo il mio compagno di gita incitava ad approfittare dell'occasione per eliminare il rettile, ma gli ho fatto presente che non ce n'era motivo, visto che lo avevo disturbato già abbastanza e che comunque, non ci avrebbe fatto proprio nulla di male ed infatti, non appena ho allentato la pressione, se n'è andato pacificamente per il percorso che gli avevo interrotto, senza neppure minimamente pensare ad attaccarci (d'altra parte, visto lo spessore di calzature e calzettoni, i suoi morsi sarebbero stati inutili), nonostante, durante la breve osservazione, sibilasse abbastanza stizzito, ma era evidente che ciò fosse dovuto al fatto di averne sconvolto la "tabella di marcia". È chiaro che mi dispiace avergli arrecato un breve disturbo, ma penso che me lo si potrà perdonare, visto che, dopo anni di mancati incontri, un esemplare di vipera così bello meritava proprio di essere ammirato con calma per qualche istante, o no? Era un essere semplicemente meraviglioso ed affascinante: non a caso me lo ricordo ancora dopo tanti anni, quasi come fosse ancora ieri.
Ovviamente, il resoconto di quest'esperienza d'incontro ravvicinato non vuol essere un'incitazione a fare altrettanto: se già non è bello che certa gente, alla sola vista di una vipera, quand'anche pacificamente distesa al sole, pensi di scaricarvi su la propria frustrazione, bersagliandola con martellate, bastonate o simili ci mancherebbe soltanto che i boschi pullulassero di gente che rompe le scatole alle vipere per poterle ammirare con comodo. Volevo soltanto dimostrare che, a dispetto di certe dicerie, anche la vipera, come altri esseri, non è un mostro sanguinario alla perenne ricerca di vittime umane da mordere, così, per diporto, ma ha un suo preciso ruolo nell'economia naturale che va rispettato, se non protetto, se non vogliamo pentircene in un futuro tutt'altro che improbabile, che non lascia sperare nulla di buono.

EPISODIO III: sempre nella metropoli.

Volendo parodiare un titolo giornalistico, potremmo esordire con 29 giugno 2002: mistero a Milano tra gl’inquilini sfrattati dalle case popolari di un certo quartiere milanese, un giovane definito "con problemi" non sembra per nulla intenzionato a farsi cacciar via di casa e così vi si barrica; intervengono le forze dell’ordine ed in particolare il vice questore in persona che, cerca di indurre il giovane a più miti consigli. Sembra quasi riuscirci e, mentre dialogano... buuuummm! Una spaventosa esplosione devasta parte dell’edificio (poco male, visto che comunque era da abbattere), riduce a mal partito il giovane recalcitrante sfrattato e toglie dal novero dei vivi l’eroico vice questore (ed il rammarico qui è di rigore). Causa dell’esplosione, una notevole quantità di gas, non si sa se causata deliberatamente dal giovane o ad una fuga accidentale dovuta ad una distrazione, e a causare la deflagrazione sembra sia stata la sbadata accensione, da parte del giovane, di una sigaretta, mentre dialogava col funzionario. Non intendo certo, in questa sede, indagare sull’intenzionalità o preterintenzionalità dell’incidente; vorrei piuttosto fare alcune considerazioni su alcuni punti che ritengo siano ingiustamente rimasti in ombra.
In primis, sarebbe opportuno sapere in cosa esattamente consistessero i "problemi" del giovane. A parte il fatto di aver fatto ricorso ad un espediente estremo nel disperato tentativo di non diventare un senza tetto, sembra che fosse un tipo chiuso, con difficoltà a relazionarsi con gli altri, tendente ad isolarsi, a starsene sulle sue, a dirla tecnicamente con tre parole, un tipo patologicamente schizoide; questo, ovviamente limitandoci alla descrizioni fornite dalla cronaca. In un servizio video, trasmesso in più di un’edizione dei telegiornali, fra i tanti abitanti del quartiere intervistati, che hanno estrinsecato le loro impressioni sul "disadattato", un anziano, in particolare, ha sentenziato: "D’altra parte, cosa vi potevate aspettare da uno che girava per il parco con un’iguana sulla spalla?" ed il fatto di aver selezionato questo tipo di commento, evidenzia l’intenzione di enfatizzarne l’implicita condanna, non solo limitata all’individuo in questione, ma a tutta una categoria di persone che, pur senza pavoneggiarsi in pubblico con un rettile sulle spalle, preferiscono allevare un rettile piuttosto che un cane, un, gatto, un canarino o un criceto. Anzi, l’idea che scaturisce dal servizio giornalistico è che ci sarebbe da dubitare dell’integrità mentale di chiunque ami un rettile.
Giusto a proposito trovo opportuna una digressione: mi è capitato proprio non molto tempo fa, a bordo di un tram, sempre a Milano, di vedere due graziosissime teen-agers, di evidente origine orientale, ma molto occidentalizzate nel presentarsi, una delle quali si trastullava, facendosi passare da una mano all’altra, un esserino grigio, che ho identificato per un criceto russo, vivo, così come si giocherebbe con un ciondolo oppure uno dei tanti oggettini -sovente anche inutili-, gingilli che l’essere umano suole manipolare per dare sfogo a quella che viene definita tecnicamente titillomania; non posso negare che la scena in se costituisse un quadretto dotato di una certa grazia, evocando, perché no, l’atmosfera di uno di quei kakemono o makemono, oggetto delle tante stampe cinesi che sempre più spesso si possono trovare in Italia. Mettendomi però dalla parte del piccolo roditore, non so come si potesse sentire nel ruolo di trastullo manuale, portato in giro per la città come un pupazzetto, né so quanto la sua vita possa essere durata; ho appreso che questo è diventato anche un vezzo abbastanza diffuso tra le adolescenti e mi domando, da un punto di vista etico, quanto possa essere commendevole, né so fino a che punto possa essere indice, piuttosto che di amore per gli animali, di un malcostume tendente a calpestarne la dignità per servire al capriccio, alla moda ed all’ostentazione di tendenza.
Quanto appena detto per l’animaletto-gingillo può essere riferibile anche ai rettili. Intendo dire, e sicuramente non sono né il primo né l’ultimo, che se è bellissimo -facciamo anche sublime- amare e godere della compagnia degli animali ed ancor di più di quelli "insoliti", non penso che il modo migliore per dimostrarlo sia quello di usarli come giocattolo o come accessorio per stravaganti quanto vanitosi esibizionismi di tendenza, e con questo alludo a quegl’individui -per fortuna non numerosissimi- che si pavoneggiano, per fare un esempio, con un pitone o un boa al collo oppure portando al guinzaglio un’iguana, o altre simili ostentazioni. Unica eccezione ammissibile, nei luoghi appropriati e con la dovuta misura, l’eventualità in cui qualche essere di buona volontà favorisca il contatto visivo e tattile con una di queste bestiole, a scopo behaviouristico; il modesto stress sopportato dalla bestiola può essere compensato dal risultato perseguito, cioè l’educazione a non dico ad amare, ma almeno a rispettare anche gli esseri meno "omologati", verificando anche con mano che non sono pe-ricolosi e quindi a non temerli immotivatamente.
Direi che potremmo offrire al giovane "con problemi" una piccola scusante; nell’apprezzare sinceramente la sua preferenza per l’iguana, potremmo indulgere sul fatto che evidentemente non se la portasse in giro per spirito esibizionistico, quanto piuttosto per il fatto di avere stabilito col pacifico rettile un legame talmente stretto ed intenso, da non sentirsi di separarsene per nessun motivo; ipotizzo che le fraterne ed amorevoli cure del suo umano compagno avranno compensato abbondantemente lo stress del giro per il parco sulla sua spalla. D’altra parte siamo bene a conoscenza del ruolo terapeutico dell’animale nelle terapie psicologiche: solitamente si ricorre alla cinoterapia o all’ippoterapia, ma, se l’interessato stesso ha optato per altre forme animali, anche un’ "iguanoterapia" è benvenuta se sortisce effetti positivi sulla psiche del paziente e poi, in fondo in fondo, il tipo d’iguana in questione, lungi dall’evocare idee aggressive, comunica un certo senso di calma e tranquillità.
Tornando alla vicenda e facendo un bilancio, l’episodio si è concluso con un vice questore defunto, un giovane "problematico" ricoverato vivo e malconcio in ospedale, un edificio esploso e, finite le considerazioni e gli epicedi del caso, sul teatro dei fatti è calato il sipario del silenzio dei media. A parte l’amaro in bocca che un simile episodio può lasciare, sorgono un paio d’interrogativi inquietanti: come avrà reagito il giovane, una volta riavutosi, scoprendo l’assenza del suo amato compagno? E che fine ha fatto la povera iguana: vive ancora o è rimasta vittima dello scoppio? Su di lei incombe ormai il silenzio dell’oblio!


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